Denuncia alla Commissione UE

6 ottobre 2017

Il Comitato "Articolo 10" ha integrato la denuncia alla Commissione Europea con il costegno del Movimento Sei Luglio.

Leggi il documento.

15 dicembre 2016

 

Il Comitato “Articolo 10” ha presentato denuncia alla Commissione Europea, richiamando il procedimento già avviato a seguito della denuncia di Calogero Ingrillì.

La Commissione ha protocollato la denuncia con il seguente numero: CHAP (2016) 03834.

Il Comitato “Articolo 10” ha spiegato di avere presentato la denuncia ad adiuvandum, allo scopo di:

- estendere l’oggetto della denuncia ai giudici onorari di tribunale e ai giudici di pace;
- precisare le violazioni del diritto europeo commesse dall’Italia;
- aggiornare la Commissione Europea sulla legge di riforma n. 57/2016, che perpetua le violazioni e incorre in una nuova violazione.

La denuncia è stata presentata seguendo il formulario messo a disposizione dalla Commissione Europea.

Il Comitato “Articolo 10”, perciò, ha indicato la violazione delle seguenti norme dell’Unione Europea:

 

 In materia di OCCUPAZIONE:

 

Direttiva 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

 

Direttiva 93/104/CE del Consiglio Europeo del 23 novembre 1993 concernente taluni aspetti della organizzazione dell’orario di lavoro:

- Art. 7. Ferie annuali.

1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionale

 

Direttiva 99/70/CE del Consiglio Europeo del 28 giugno 1999

 

Carta Dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea:

- Articolo 31. Condizioni di lavoro giuste ed eque.

           1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose.

           2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite.

 - Articolo 34. Sicurezza sociale e assistenza sociale.

           1. L’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali

 

Carta Comunitaria Dei Diritti Sociali Fondamentali Dei Lavoratori (Strasburgo 9/12/1989):

Art. 5. Ogni lavoro deve essere retribuito in modo equo.

A tal fine è necessario che, in base alle modalità proprie di ciascun paese:

           • sia assicurata ai lavoratori una retribuzione sufficiente equa, cioè una retribuzione sufficiente per consentire loro un decoroso tenore di vita;

            • i lavoratori soggetti ad una regolamentazione del lavoro diversa dal contratto a tempo pieno e di durata indeterminata beneficino di un’equa retribuzione di riferimento.

Art. 8. Ogni lavoratore della Comunità Europea ha diritto al  riposo settimanale e a ferie annuali retribuite i cui periodi devono essere via via riavvicinati, in modo da ottenere un progresso, conformemente alle prassi nazionali;
Art. 10. Ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto ad una protezione sociale adeguata e deve beneficiare, a prescindere dal suo regime e dalla dimensione dell’impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.

Direttiva 97/81/CE del Consiglio Europeo, del 15 dicembre 1997

 

 

In materia di GIUSTIZIA (diritto a un equo processo)

 

art. 47 CEDU (in quanto richiamata dall’art. 6 del Trattato di Lisbona): Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.
Art. 6 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

 

Per motivare la violazione delle norme sopra indicate, il Comitato “Articolo10” ha richiamato integralmente la lettera alla Cepej (già tradotta in inglese), riservandosi di inviare, a richiesta della Commissione, i documenti allegati alla lettera.

A integrazione dei rilievi formulati nella lettera alla Cepej, il Comitato ha denunciato che la legge 57/2016 incorre in una nuova violazione del diritto europeo, in particolare della direttiva 97/81/CE del Consiglio Europeo, del 15 dicembre 1997, modellata sui contenuti della Convenzione OIL n. 178 del 24.6.1994, che, all’art. 10, impone l’adozione di misure necessarie ad assicurare che la trasformazione del rapporto dal tempo pieno a part time e viceversa avvenga su base volontaria.

L’ art. 2 comma 13 lettera h) della legge n. 57/2016, infatti, delega il Governo a:

 

prevedere che la dotazione organica dei magistrati onorari, i compiti e le attività agli stessi demandati, gli obiettivi stabiliti a norma della lettera f) e i criteri di liquidazione delle indennità siano stabiliti in modo da assicurare la compatibilità dell'incarico onorario con lo svolgimento di altre attività lavorative.

 

Lo scopo della riforma, com’è noto, è imporre a tutti i giudici onorari di tribunale, giudici di pace e vice procuratori onorari di avere un’altra attività lavorativa oltre all’esercizio delle funzioni giurisdizionali c.d. “onorarie” (attraverso l’aumento dell’organico, attraverso la riduzione della retribuzione, conseguente sia alla modalità di liquidazione, sia alla modifica dell’organizzazione del lavoro). È evidente che si tratta di una misura che non contribuisce a escludere la natura lavorativa delle funzioni svolte, ma vale solo a trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, in violazione della direttiva 97/81/CE del Consiglio Europeo, del 15 dicembre 1997.

Soccorre, in proposito, la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 15 ottobre 2014, causa C-221/13, in particolare il seguente passaggio:

«Nella fattispecie, si deve constatare, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, che una situazione in cui un contratto di lavoro a tempo parziale è trasformato in un contratto di lavoro a tempo pieno senza l’accordo del lavoratore interessato e una situazione in cui un lavoratore vede il suo contratto di lavoro a tempo pieno trasformato in un contratto di lavoro a tempo parziale contro la sua volontà non possono essere considerate situazioni comparabili, dato che la riduzione del tempo di lavoro non comporta le stesse conseguenze del suo aumento, in particolare a livello di remunerazione del lavoratore, che rappresenta la contropartita della prestazione di lavoro».

 

L’Italia, imponendo l’estensione del tempo parziale a tutti i magistrati onorari a cui si riferisce la presente denuncia, li pregiudica come lavoratori in quanto riduce la loro remunerazione.

 

Naturalmente il Comitato “Articolo 10” ha richiamato integralmente anche la pronuncia del Comitato Europeo dei diritti sociali, che ha deciso il reclamo presentato da ANGDP.

Infine, nel rispetto del formulario della Commissione Europea, oltre a citare la petizione al Parlamento Europeo 1202/16, la denuncia ha spiegato che il Comitato stesso è stato istituito proprio per la tutela giurisdizionale dei diritti di lavoratori dei magistrati onorari, e ha così risposto al preciso quesito della Commissione: 

 

«Sono in corso molte cause davanti ai giudici del lavoro territorialmente competenti. I ricorsi di lavoro presentati mirano a ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e a ottenere il riconoscimento dei diritti conseguenti. La normativa interna non consente il riconoscimento dei diritti rivendicati, pertanto i ricorrenti agiscono chiedendo al giudice adito di sollevare questione pregiudiziale europea, allo scopo che venga dichiarata l’illegittimità della normativa interna. Essendo obbligato solo il giudice di ultima istanza a sollevare la questione pregiudiziale europea, non è prevedibile il tempo di decisione dei ricorsi. Finora i giudici di primo grado aditi non hanno sollevato la questione pregiudiziale europea, auspicando soluzione legislativa, pur riconoscendo la natura lavorativa del rapporto, e i ricorrenti hanno impugnato le sentenze di primo grado. I tempi di incardinamento dei giudizi di secondo grado variano da uno a oltre tre anni. Ma i giudizi di appello sono soggetti a loro volta a un giudizio di ultimo grado. I tempi di decisione degli organi interni, pertanto, sottopongono i ricorrenti all’ulteriore rischio di entrata in vigore della legge di riforma citata, n. 57/2016, che è peggiorativa rispetto a quella attuale, per i motivi esposti, e che deve essere attuata attraverso decreti legislativi delegati al Governo».